martedì 23 ottobre 2012

Nomi imbarazzanti di una neonata provincia

Il governo dice "niente deroghe" e quindi, pare, che il matrimonio tra Piacenza e Parma si farà; non ostante le reticenze di uno degli sposi... Piacenza.
L'Emilia-Romagna non sarà più divisa in nove provincie, ma in quattro con Bologna quale "metropolia"; certo che se il "presidente" di Bologna lo chiamano "metropolita" potrebbe esserci una vaghissiama confusione tra cariche laiche e titoli ecclesiastici.
E pensare che Bologna ha scalpitato tanto per divenire autonoma dalla Chiesa dalla quale, formalmente, dipendeva.
Ebbene si; mi domando se la parte romagnola delle provincie avrà nome Esarcato, nel qual caso potrei trasferirmici solo per avere un Esarca... a patto, ovviamente, che quest'ultimo sia nominato da Costantinopoli e visto che c'è carenza di Basilei ultimamente, può andare bene anche il Patriarca Ecumenico di Costantinopoli; non mi formalizzo.
Onestamente speravo che le provincie fossero tutte abolite; per le competenze che hanno non ha molto senso tenerle in piedi e queste funzioni possono essere, comodamente, assolte dalla Regione.
Piacenza e Parma sono sempre andate d'amore e d'accordo sino a quando hanno potuto ignorarsi amabilmente.
Piacenza ha sempre gravitato intorno a Milano e Parma ha sempre avuto mire da capoluogo di Regione; un po' come Fidenza che si crede un capoluogo di provincia incompreso.
Povera Fidenza, sfumano, così, le sue ambizioni di divenire capoluogo di provincia.
Piacenza incolpa Parma di averle portato via la funzione di capoluogo del Ducato, dimenticandosi di aver tentato, ripetutamente, di assassinare i figli del papa; in generale l'accusa è quella di essersi comportata come una zecca.
A seguito poi si va a curiosare anche nelle vicende delle Diocesi, per cui la Diocesi di Parma si è incamerata territori della Diocesi di Piacenza-Bobbio; ci si dimentica della nascita della Diocesi di Fidenza che non si fila nessuna delle due città.
Ci sarebbe poi una ruggine più recente sorta con la nascita della Cassa di Risparmio...il corpus del cahiers de doléances è ben nutrito.
Mi immagino la drammatica crisi del genius loci di Fidenza in questo momento.
Qui si tratta di ruggine secolare che ha sedimentato nel tempo, ed è rimasta buona sino a quando le due città dovevano avere rapporti sporadici ed episodici; dopo qualche secolo di certe cose ci si ricorda meno.
Come beffa finale Piacenza è stata la Primogenita del Regno d'Italia e Reggio Emilia, altra provincia soppressa, la patria del Tricolore e, come benemerenza, vengono soppresse senza tante cerimonie e tanti saluti.
Alla ridda di ipotesi di accorpamento, Piacenza con Lodi, con Pavia, con Reggio-Emilia, con chiunque ma non con Parma, finalmente è stata posta la parola "FINE".
Come si chiamerà la nuova provincia?
Ebbene queste le proposte: PiPa, PaPi o Verdiana.
Delle tre "Verdiana" è la meno imbarazzante, per quanto PaPi sia molto d'attualità e PiPa sia semplicemente incommentabile... davvero.
Personalmente preferirei scegliere tra Piacarma o Parenza.
In un paese come il nostro nel quale ci si è accoltellati, con grande gioia, per secoli, non mi pareva proprio il caso di rinverdire secolari rancori sopprimendo random delle provincie, ognuna delle quali, o quasi, emblema di autonomie d'annata; ci avrebbe fatto più bene togliere tutte le provincie.

venerdì 19 ottobre 2012

Son problemi

Ho un problema.
Riesco a leggere, senza fatica, sia da destra verso sinistra che da sinistra verso destra e la cosa, di per sé, sarebbe anche una abilità del tutto inutile, un po' come arrotolare la lingua sull'asse mediano per intenderci, altra abilità utilissima che possiedo; ma, da un punto di vista lavorativo può essere un problema... non arrotolare la lingua, ma leggere in entrambi i versi.
Quando disegno specchio e ruoto i disegni a seconda della convenienza; in un edificio, se mi è più comodo, è facile che mantenga ferma la pianta e disegni i prospetti così come sono con l'intenzione di girarli per il loro verso in seguito.
A volte mi dimentico di girare i disegni perché non riesco a vedere l'errore; massì... ci sono le scritte, ma se per me hanno senso anche se lette da destra verso sinistra, non sono di grande utilità.
Quando c'erano i lucidi mi andava di lusso, perché mi basavo sulla brillantezza del segno; brillante nel verso giusto e opaco in quello sbagliato.
La mia carriera di disegnatore conta innumerevoli esempi di prospetti specchiati; a volte me ne accorgo, ma spesso non li vedo come errore.
Di recente sono anche peggiorato.
Una volta specchiavo l'intero prospetto, adesso mi capita anche di specchiarne solo una parte.
Il difetto non consiste nel non saper distinguere la destra dalla sinistra, cosa che, a parte un imbarazzante episodio recente, e assolutamente sporadico, ma è proprio una mia incapacità nel vedere la differenza tra una scritta composta nel verso convenzionale e nel suo contrario.

Ecco; avrei dovuto identificare qualcuno in un gruppo di persone e continuavo a sostenere che questa persona fosse a sinistra... certo; era sinistra ma dal punto di vista del gruppo fotografato e non dell'osservatore.
A volte credo che il mio cervello abbia qualche problema di comunicazione.

martedì 16 ottobre 2012

Un giorno ordinario

"Di venere e di marte non si arriva e non si parte" e dove abbiano sentito la variante con "non ci si sposa" non ne ho idea, fatto sta che a Marte e a Venere non piacciano gli arrivi e partenze; non mi pareva che abbiano mai lavorato in un albergo o in un campeggio, ma è evidente che sia martedì che venerdì sono cosiderati giorni infausti per i viaggi.
Il mio primo giorno di lavoro qui a Parma, è stato un martedì di febbraio e mi è morta la batteria; non sono superstizioso, ma a certe cose faccio caso... per poi dimenticarmene rapidamente.
Oggi sono rientrato in studio e ho fatto la seguente scoperta: qualcuno ha aperto una mia bottiglia d'acqua.
Potrei benissimo essere stato io, ma la bottiglia era sulla scrivania e, in genere, quando esco lascio la scrivania sempre in ordine; il livello di acqua è inferiore a quella integra rimasta.
Qui qualcuno ha bevuto a mie spese e manco me l'ha chiesto.
Non ne farò un dramma esistenziale, ma scoprirlo mi ha mal disposto.
A seguire è arrivato un ingegnere che aveva bisogno di alcuni documenti; mentre telefonavo alla mia collega per avere lumi, dato che ieri io non c'ero, questo ha continuato, imperterrito, a parlarmi nell'orecchio; a costo di risultare scortese ho dovuto fargli cenno, bruscamente con una mano, di chiudere quella ciabatta.
Verso mezzogiorno suona il telefono e l'impiegato di banca, all'altro capo della linea, senza presentarsi, mi chiede con chi volevo parlare;
io:"Guardi che mi ha chiamato lei"...e questo sbatte giù il telefono.
Non ostante tutto, ora mi sento anche tollerante nei confronti della specie umana; in fondo è già martedì e quindi questa è settimana corta.

lunedì 8 ottobre 2012

Innovazioni

Sulle note di una musica latino americana, che entra dalla finestra aperta, scrivo questo post che non sarà né un inno alla tecnologia, né un inno al piccione viaggiatore... anche se, quest'ultimo, per chi mangia carne, poteva anche fungere da razione di emergenza, mentre cibarsi di un cellulare può essere, oltre che poco nutriente, vagamente deleterio.
Quando ho iniziato il lautamente ricompensato, risa di sottofondo ON, mestiere di disegnatore si usavano cose astruse che ora potrebbero comparire in un museo della tecnica.
Io disegnavo con le squadre, a matita, con il portamine e utilizzavo un apposito temperamine per fare loro la punta, anche se spesso mi arrangiavo con la carta vetrata.
Utilizzavo il balaustrone; un compasso dotato di una prolunga che andava montato come Jeeg...del resto aveva i componenti anche il balaustrone.
Raramente mi avvalevo del tecnigrafo, mentre il tavolo luminoso, anche se ora si utilizza l'anta di una finestra che costa meno, non l'ho mai abbandonato.
Smisi a scuola di disegnare sulla carta, al lavoro si disegnava sul lucido; una, più o meno, sottile pellicola trasparente di plastica, in formati diversi, rotoli e fogli, sui quali si facevano i disegni tecnici.
Si facevano gli schizzi su un altro tipo di pellicola di plastica chiamata carta da burro; una pellicola più opaca del lucido e più fragile.
Si disegnava a mano con la matita, poi si passava tutto a china coi rapidi, che sono stati una grande evoluzione, della qual cosa rendo grazie altrimenti avrei riempito di macchie i miei fogli, e si usava una gomma di una pasta particolare per togliere la matita senza sbiadire la china.
I rapidi venivano caricati con delle cartucce usa e getta, ma io, che ho sempre odiato lo spreco, viaggiavo armato di siringa, guanti, boccia di inchiostra; materiale indispensabile per riempire di china il serbatoio di rapidi.
C'era poi tutta una procedura per pulire le punte dei rapidi, che erano di spessori diversi a seconda dell'evenienza, zero uno, zero due, zero tre e via dicendo, basata su bagni di alcool e lievi colpi per non piegare il filo che scorreva dentro la cannula dalla quale usciva la china.
Per correggere la china si usava una lametta da barba per grattare la superficie dei lucidi, poi ci si passava sopra con una gomma, per scaldare il lucido e uniformarne la superficie, in modo che al secondo passaggio con la china il tratto fosse uniforme.
Sulla carta non c'era santo in paradiso; un errore a china costava il rifacimento della tavola.
Non c'era gomma che cancellasse la china in modo efficiente; lavoro buttato e da rifare.
A volte, quando era richiesto dalle circostanze, si ricorreva alla copia del lucido su un un'altra pellicola di plastica chiamata radex. Era di un colore seppia più o meno carico, a volte la sfumatura era più bluastra, ma era molto più facile usare un controlucido; una fotocopia del lucido originario su un altro lucido e su questo supporto grattare via i segni era molto più semplice che non sul radex.
Si usava, per fare le solite mille mila copie che vanno associate ad ogni pratica edilizia, la macchina eliografica.
Si accoppiava il lucido all'apposita carta per eliografia, gialla, tenuta dentro sacchi neri in quanto fotosensibile, e la coppia si faceva passare attraverso una macchina che con una luce e dei vapori di ammoniaca, riproduceva il lucido.
Una volta produrre il materiale grafico di una pratica era un processo lungo che durava molto più della parte burocratica necessaria alla presentazione.
Il computer ha cambiato tutto; in un amen si fanno i disegni, li si stampa con un plotter e l'unica parte manuale è il taglio e la piega delle tavole.
Il tempo per fare i disegni è rimasto, però, invariato.
E prima facciamo il disegno in un modo e poi ci facciamo una ventina di variazioni iniziali, indi una cinquantina di versioni a seguire e dopo aver smacchinato sullo stesso canchero di edificio, si producono i definitivi.
Col fatto che non si vede la mole di lavoro fatta per ogni singola tavola, non si ha la percezione del lavoro svolto e si tende a pensare che tanto fa tutto il computer.
Morale: si lavora il triplo di prima, con tempi molto più rapidi e brevi e si prende sempre lo stesso.
Ho deciso di investire un paio di centinaia di euro e dotarmi di una tavoletta da usare al lavoro; vorrei evitare di farmi venire la sindrome del tunnel carpale a causa di tutto il lavoro svolto dal computer... nella speranza che la tavoletta serva.
Personalmente non saprei cosa fare senza pc, me ne rendo perfettamente conto, ma ci sono momenti nei quali vorrei tanto tornare ai bei tempi di Ur; una tavoletta di argilla e una canna per scrivere... così almeno posso lamentarmi del peso delle tavole di argilla in sestuplice copia.

venerdì 5 ottobre 2012

Anacronismo

Sono sicuro che s'è capita la mia, per nulla nascosta, fascinazione per Bisanzio.
No? I miei manzoniani lettori, la maggior parte dei quali vedo e frequento con assiduità, sono stati abbondantemente annoiati con Bisanzio, le icone, l'arte bizantina e via discorrendo; mentre per quei pochi che non vedo e che conosco solo grazie alla rete, hanno avuto la loro dose di noia leggendo un mio sproloquio, ogni tanto, a tema in questa selva di bit.
Ecco; questo post non sarà diverso, per la maggior parte parlerà di Bisanzio; ma sarà breve.
Lettore avvisato...

Tutto questo per dire che sebbene siano passati solo 559 anni dalla caduta di Bisanzio, io non sono ancora riuscito a metabolizzare l'evento.
No, dico... manco avessi vissuto di persona gli eventi del maggio di quel lontano episodio; eppure ogni volta che ci penso, mi viene male.
Che poi, diciamocelo, non è che Maometto II e il suo esercito, e i loro tre giorni di saccheggio, dei quali Maometto si pentirà per altro, siano stati peggiori della quarta crociata e delle mire del novantenne Dandolo che di pentirsi non l'aveva manco per i piedi*.
Venezia però, probabilmente perché figlia, anche se spesso "tenia" la definirebbe meglio, di Bisanzio non mi ha mai indotto la distanza che ho sempre tenuto nei confronti dell'Impero Ottomano; vittima di una pessima campagna settecentesca che ha preso anche me...vi sto ponendo rimedio, o almeno ci provo.
Venezia l'ho sempre vista come un pezzo d'Esarcato in Italia, e poi la città lagunare ha San Marco, la chiesa di Torcello; di bizantino a Bisanzio c'è rimasto pochino e spesso le autorità non ci tengono particolarmente a mantenere quanto lasciato dalla Roma d'oriente.
Povera Bisanzio; bistratta in occidente, passata nella lingua italiana solo come sinonimo di cavillosità, ricordiamoci che erano figli della burocrazia romana, manco in oriente se la passa bene.
Tra l'altro la bizantinite si è incancrenita solo in quest'ultimo decennio; prima avevo molti altri interessi, e probabilmente ne arriveranno altri, che al momento permangono un po' isolati.
A essere obiettivi il tutto deriva da due cose: Bisanzio, in sé, è una parola con un suono bellissimo e bizantino è parimenti mirabile; e il mosaico, il fondo dorato e il ricorrere a dei tipi nella rappresentazione artistica, crea una fortissima suggestione.
Si, lo ammetto, le immagini bizantine, specie man mano che le influenze naturalistiche vanno perdendosi, sono un po' statiche, piattine, ma sono un bellissimo preludio all'astrazione, alla rappresentazione di concetti attraverso segni evocativi figurativi, il cui compito è quello di rendere chiaro, lapalissiano, gli esempi che comunicano.
Il Rinascimento in Italia non sarebbe mai potuto essere possibile senza Bisanzio, anche se non sarebbe mai potuto nascere nella nuova Roma.
Compare di Bisanzio è l'Egitto; l'importanza dell'Egitto è sempre trascurata, lo si riduce a un racconto biblico, specie quando ripassano i "Dieci comandamenti", a un paio di faraoni, di grande attualità Tutankhamon, perché le cose che sbarlusegano piacciono a noi gazze, e più niente.
Chi se ne frega di Hatshepsut che conversava alla pari con il re Hittita, o del ruolo della donna nella civiltà egizia.
Del fatto che la scultura egizia abbia influenzato gli esordi della statuaria greca e che, pur nella sua ieraticità, abbia avuto elementi di realismo tali che bisognerà attendere l'ellenismo per ritrovarli in una statua, non si parla; artisticamente parlando l'Egitto è considerato un po' come l'espressione artistica di gente poco dotata.
Non hanno inventato la prospettiva come rappresentazione, perché non avevano alcun motivo di farlo; la rappresentazione seguiva regole diversa dall'osservazione naturale.
Tendiamo anche a dimenticare che l'Egitto, persino per i greci, era sinonimo di antichità e quindi di autorevolezza e che i greci, per darsi un tono di rispettabilità, decisero di far passare le divinità egiziane per divinità greche.
Noi non siamo il vertice di una piramide evolutiva, sia come specie che come cultura, e non possiamo permetterci di guardare agli altri come dei poveri sottosviluppati; esigenze e possibilità diverse, danno luogo ad adattamenti diversi tutti vertici evolutivi di quell'ambiente specifico.
Convenientemente dimentichiamo popoli e culture scomode perché ci piace essere etnocentrici; siamo egoisti persino come etnia.
E' solo nella contemporaneità che possiamo fare paragoni e fornire stimoli affinché vengano autonomamente elaborati, metabolizzati e interiorizzati; le imposizioni sono fallimentari.

*manco per i piedi: esattamente non so da dove arrivi, ma vuol dire "non avere assolutamente intenzione"

giovedì 4 ottobre 2012

Certezze 2... 3... boh

Sono sicuro di aver già parlato delle mie certezze esistenziali da qualche parte; che non ne ho, che poi non è vero perché non averne conta per uno e via discorrendo.
Anche la stupidità di Vento, per dire, è un caposaldo della mia esistenza.
Di recente ne ho aggiunta un'altra e con questa saliamo ben a tre; sta a vedere che ho più certezze di quanto pensassi.
Al mio capo irrita terribilmente il fatto che le persone non rispondano al cellulare; non sta a pensare che le persone possono avere altro da fare che vivere incollate alla cornetta, che magari non sempre si sente lo squillo e che, magari, in quel momento non è proprio possibile rispondere.
Lui si agita, mormora, borbotta.
Dovete sapere che io non rispondo al cellulare nelle seguenti condizioni:
- quando non lo sento; mi pare lapalissiano, ma è meglio palesarlo;
- quando sono in autobus o in corriera, perché leggo, guardo il panorama, perdo la testa tra le nuvole e poi c'è un discreto baccano e quindi diventa impossibile capire cosa l'altra persona tenta di comunicarti;
- quando sono in vacanza;
- quando guido... fa strano, lo so, ma ho questa brutta abitudine di guidare quando sono al volante.
Da quando vado in corriera a Parma e torno alle 19:30 a casa, uscendo dallo studio alle 18:00 dopo nove ore di lavoro, indovinate un po' chi mi chiama alle 18:40 circa, ovvero quando sono in corriera?
Oh... io gliel'ho detto che è inutile chiamarmi a quell'ora perché tanto non lo sento, ma lui insiste; il fegato è il suo

martedì 2 ottobre 2012

Ancora tu? Ma non dovevamo vederci più?

Ebbene; indovinate un po'?
Stamane è passata a trovarmi la Scheda del Male, onestamente non ne sentivo la mancanza, ma abbiamo fatto due chiacchiere in simpatia.
Il dialogo è stato più all'insegna del: "...e questo da dove sbuca?"; "mq.202,48 che detraggo da... ah; si... sono da compensare"; "ommioddio! perché questo numero è diverso?"
Mi sono accorto di aver usato una vecchia tabella per inserire i valori nei documenti e nelle tavole, così, adesso, mi tocca farla passare, per l'ennesima volta, come il riso alla ricerca di eventuali strafalcioni.
Al momento ho trovato un passaggio oscuro nella relazione che va chiarito: utilizzo del parcheggio pubblico per fare della viabilità e quindi devo compensare quest'ammanco aggiungendo una quota uguale di parcheggio, trovandola nel piano, ma dalla relazione non si capisce.
Non vorrei dirlo troppo forte, ma l'ho vista un po' meno in forma quindi, FORSE, potrei davvero arrivarci in fondo.
Se ci arrivo entro il 21 di dicembre sarà un chiaro segno dell'Apocalisse; i Maya si riferivano chiaramente al completamento della Scheda del Male.
Oggi cercando tra le polverose e abitate, v'ho trovato un ragno e un pesciolino d'argento, carpette ho trovato i primi conti che feci nel lontano 2007; sono passati cinque anni e ci sono ancora a dietro... m'è quasi venuto da piangere.
Non so ancora cosa farò quando porrò, se mai riuscirò a vedere quel giorno, la parola fine sulla scheda, ma è probabile che: 1) dormirò per una dozzina di ore; 2) piangerò come una vite tagliata; 3) andrò in pensione e questo vi fa capire quanto l'eventualità di una fine alla Scheda, sia materia da confinarsi nel magico e nel fantastico.