lunedì 8 ottobre 2012

Innovazioni

Sulle note di una musica latino americana, che entra dalla finestra aperta, scrivo questo post che non sarà né un inno alla tecnologia, né un inno al piccione viaggiatore... anche se, quest'ultimo, per chi mangia carne, poteva anche fungere da razione di emergenza, mentre cibarsi di un cellulare può essere, oltre che poco nutriente, vagamente deleterio.
Quando ho iniziato il lautamente ricompensato, risa di sottofondo ON, mestiere di disegnatore si usavano cose astruse che ora potrebbero comparire in un museo della tecnica.
Io disegnavo con le squadre, a matita, con il portamine e utilizzavo un apposito temperamine per fare loro la punta, anche se spesso mi arrangiavo con la carta vetrata.
Utilizzavo il balaustrone; un compasso dotato di una prolunga che andava montato come Jeeg...del resto aveva i componenti anche il balaustrone.
Raramente mi avvalevo del tecnigrafo, mentre il tavolo luminoso, anche se ora si utilizza l'anta di una finestra che costa meno, non l'ho mai abbandonato.
Smisi a scuola di disegnare sulla carta, al lavoro si disegnava sul lucido; una, più o meno, sottile pellicola trasparente di plastica, in formati diversi, rotoli e fogli, sui quali si facevano i disegni tecnici.
Si facevano gli schizzi su un altro tipo di pellicola di plastica chiamata carta da burro; una pellicola più opaca del lucido e più fragile.
Si disegnava a mano con la matita, poi si passava tutto a china coi rapidi, che sono stati una grande evoluzione, della qual cosa rendo grazie altrimenti avrei riempito di macchie i miei fogli, e si usava una gomma di una pasta particolare per togliere la matita senza sbiadire la china.
I rapidi venivano caricati con delle cartucce usa e getta, ma io, che ho sempre odiato lo spreco, viaggiavo armato di siringa, guanti, boccia di inchiostra; materiale indispensabile per riempire di china il serbatoio di rapidi.
C'era poi tutta una procedura per pulire le punte dei rapidi, che erano di spessori diversi a seconda dell'evenienza, zero uno, zero due, zero tre e via dicendo, basata su bagni di alcool e lievi colpi per non piegare il filo che scorreva dentro la cannula dalla quale usciva la china.
Per correggere la china si usava una lametta da barba per grattare la superficie dei lucidi, poi ci si passava sopra con una gomma, per scaldare il lucido e uniformarne la superficie, in modo che al secondo passaggio con la china il tratto fosse uniforme.
Sulla carta non c'era santo in paradiso; un errore a china costava il rifacimento della tavola.
Non c'era gomma che cancellasse la china in modo efficiente; lavoro buttato e da rifare.
A volte, quando era richiesto dalle circostanze, si ricorreva alla copia del lucido su un un'altra pellicola di plastica chiamata radex. Era di un colore seppia più o meno carico, a volte la sfumatura era più bluastra, ma era molto più facile usare un controlucido; una fotocopia del lucido originario su un altro lucido e su questo supporto grattare via i segni era molto più semplice che non sul radex.
Si usava, per fare le solite mille mila copie che vanno associate ad ogni pratica edilizia, la macchina eliografica.
Si accoppiava il lucido all'apposita carta per eliografia, gialla, tenuta dentro sacchi neri in quanto fotosensibile, e la coppia si faceva passare attraverso una macchina che con una luce e dei vapori di ammoniaca, riproduceva il lucido.
Una volta produrre il materiale grafico di una pratica era un processo lungo che durava molto più della parte burocratica necessaria alla presentazione.
Il computer ha cambiato tutto; in un amen si fanno i disegni, li si stampa con un plotter e l'unica parte manuale è il taglio e la piega delle tavole.
Il tempo per fare i disegni è rimasto, però, invariato.
E prima facciamo il disegno in un modo e poi ci facciamo una ventina di variazioni iniziali, indi una cinquantina di versioni a seguire e dopo aver smacchinato sullo stesso canchero di edificio, si producono i definitivi.
Col fatto che non si vede la mole di lavoro fatta per ogni singola tavola, non si ha la percezione del lavoro svolto e si tende a pensare che tanto fa tutto il computer.
Morale: si lavora il triplo di prima, con tempi molto più rapidi e brevi e si prende sempre lo stesso.
Ho deciso di investire un paio di centinaia di euro e dotarmi di una tavoletta da usare al lavoro; vorrei evitare di farmi venire la sindrome del tunnel carpale a causa di tutto il lavoro svolto dal computer... nella speranza che la tavoletta serva.
Personalmente non saprei cosa fare senza pc, me ne rendo perfettamente conto, ma ci sono momenti nei quali vorrei tanto tornare ai bei tempi di Ur; una tavoletta di argilla e una canna per scrivere... così almeno posso lamentarmi del peso delle tavole di argilla in sestuplice copia.

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